Archivio Blog

34 anni fa

apr
2013
23

scritto da on Home

4 commenti

Il 23 Aprile di trentaquattro anni fa era un lunedì, e a mezzogiorno circa la Cristina è volata in cielo, dove quelli che l’hanno amata speravano, o erano certi, che l’aspettasse la sua mamma. Era da quattordici anni che ci conoscevamo, precisamente dall’inizio della prima liceo: lei faceva parte di un gruppetto di ragazze che confluiva nella mia classe, essendo la loro stata smembrata. Ma, come a volte succede, anche nella nostra si sono formati gruppetti che poi tendono a rimanere separati, e noi eravamo finiti in due differenti, per cui praticamente non ci siamo parlati davvero fino a metà della terza liceo, quattro mesi prima della maturità. In effetti, è stata la sua amica Gianna, con cui avevo maggiore confidenza, a raccontarmi quanto fosse giù per la morte della mamma, avvenuta il settembre precedente. Così Cristina è venuta qualche volta a studiare a casa mia e insomma succede quel che a volte succede tra compagni di scuola:,  facciamo coppia ( smettiamo di studiare assieme). Non voglio oggi raccontare la nostra storia, che comunque racconterei solo a qualcuno con cui mi sento davvero di farlo. Voglio solo dire che nel dicembre del 1973 ci siamo sposati. E poi abbiamo cominciato a  convivere davvero seriamente alla fine del 1975, di ritorno da un famigerato soggiorno passato in divisa a Bologna. La sola cosa che voglio ricordare di quei tre anni e mezzo dalla fine del 1975 al 23 Aprile del 1979 è che, forse un po’ curiosamente, sono stati i più belli: per me molto meglio il matrimonio del fidanzamento. Poi la sua malattia, e il suo ultimo periodo, precisamente dal 10 Marzo al 23 Aprile. E’ a quello che penso spesso. Perché, lo ricordo bene, domande senza risposta mi affollavano la mente: la più ovvia, perché lei e non io? E’ difficile accettare che la vita ci  dica in maniera così brutale che a volte non conta come ti sei comportato, quel che hai fatto, l’impegno che ci hai messo, per ottenere un premio, o almeno una grazia. Insomma, ho passato un (breve) periodo in cui la mia vita non aveva più un senso. Poi, per fortuna rapidamente, mi sono reso conto che sarei sopravvissuto. Per fortuna perché sono stato più sereno gli ultimi tempi, abbiamo passato bene gli ultimi periodi assieme. Lei non era né triste né disperata, non potevo esserlo nemmeno io.

Una volta che ho capito che sarei sopravvissuto, ho anche capito che avrei voluto farlo bene. E così ho cercato di fare. Rispetto chi fa scelte radicali, chi pensa che ci sia una sola persona nella nostra vita, ma per me è stato sempre diverso, e rivolere una vita simile a quella fatta con lei mi sembrava il più bell’omaggio che le potessi fare.

Rimaneva la domanda. Ma che senso hanno le nostre vite? Che senso ha avuto la sua? Che cosa mi sarebbe rimasto?

Oggi posso rispondere, perché so che lei è ancora con me. Credo non passi giorno che non ci pensi, ci penso con tenerezza, con serenità, con affetto. So, sento che qualcosa di lei è passata anche ai miei figli, so che la nostra vita assieme è stata breve ma preziosa, so che stare insieme 11 anni, anche nei momenti più difficili, e ce ne sono stati, non è stato un’esperienza vana. Forse è retorica, ma una parte di lei è davvero rimasta con me, e mi accompagnerà per sempre

LUCIA

mar
2013
14

scritto da on Home

1 commento

Ieri, martedì 12 Marzo, dopo una mattinata passata nello studio a fare le solite cose, compresi un paio d’esami abbastanza innervosenti, alle 14 ho preso il Frecciarossa per Roma, dove l’indomani mi aspettano un seminario alla Sapienza e una presentazione in una libreria. Il viaggio è comodo, il treno non è né troppo rumoroso né troppo pieno, l’unico problema i signori che si prendono il biglietto nella zona silenzio per fare/ricevere poi almeno una decina di telefonate in tre ore. Il bello è che quello davanti a me sono sicuro che si senta particolarmente educato, visto che parla sì, ma con una mano davanti alla bocca, per rendere il rumore più soft. Devo ammettere che non è fastidioso, quindi non reagisco e mi metto a lavorare un po’. Il treno è ottimo per questo. Nonostante il treno assicuri la connessione internet (a pagamento), nonostante questa non serva perché l’Ipad è connesso con lo stesso sistema 3G (gratis), navigare in Internet per mail varie (mania ossessivo-compulsiva, ahimé) è spiacevole perché data la velocità del treno la connessione è lenta e difficoltosa. Meglio così! Nello zaino giacciono parecchie cose da leggere, e questa è un’ottima occasione per dedicarmici senza distrazioni.  E così faccio, fino all’arrivo alle porte di Roma, quando decido di aprire l’Ipad e dare un’occhiata a Facebook. Ho resistito parecchio a FB, poi un anno che al mare mi annoiavo Alberto mi ha iscritto, e da allora mi diverto a spiare colleghi, studenti o ex-studenti  ecc ecc. C’è di tutto su FB, ed è davvero uno specchio divertente e deformato delle persone. Deformato sì, ma la figura deformata proviene sempre da qualcuno…così c’è il collega che fa il serio e l’importante all’Università, chiede l’amicizia ai colleghi poi scrive barzellette stupide e sconce, altri che informano amici e parenti dei loro movimenti (almeno quelli che li mettono in buona luce) fidanzati che si scrivono mi piace a vicenda, insomma un campionario futile e divertente, per 5 minuti max al giorno. MI sono dilungato su questi aspetti, per mettere in evidenza l’approccio minimalista e poco serio di quando si legge FB, o meglio io leggo FB. Si può capire quindi il martellamento improvviso e violento del cuore quando in un post leggo

In memoriam

E vedo la foto di una collega di Via Saldini di tanti anni fa. Ma come? Lucia? Lucia De Biase non c’è più, ma come è possibile? Lucia ha trentacinque, o forse quarant’anni… No Lucia non ha quarant’anni, li aveva quando li avevo io,  e io non ho più quell’età.  Ma lei per me ha ancora quarant’anni…

Nel 1983 sono andato a Milano, prendendo un incarico in Statale, visto che avevo moglie e figlio in Brianza. Non avevo grandi contatti al dipartimento di matematica di Via Saldini, per cui spesso ero solo. Il mio studio era imbucato in una stanza del palazzo, tranquilla e comoda, anche se con la finestra che dava in un cortile chiuso per cui a luglio bastava respirare per essere fradici di sudore, visto che non c’era la minima circolazione d’aria. Per andare nello studio passavo davanti ad un altro studio singolo e molto piccolo, con la porta spesso aperta. Dentro c’era Lucia. Va da sé che cominciamo a salutarci, poi a scambiare qualche chiacchiera. Basta poco per prendere l’abitudine di andare a mangiare qualche panino assieme, fino al punto che questa diventa una bella abitudine, almeno nei giorni in cui i nostri orari sono compatibili. Si parla di tante cose, ovviamente del lavoro, ma anche dei figli (lei Davide, io Andrea) e delle spesso turbolente dinamiche familiari.

Il ricordo più dolce che ho di lei è che un giorno d’inverno, o forse di autunno avanzato, usciti da un bar per il canonico panino, mentre come al solito stavo parlando a mitraglia lei mi ha interrotto, dicendomi:

scusa, ma devo proprio dirti una cosa: puoi dire a tua moglie che ti dia qualcosa di pesante da metterti? Fa un freddo cane, ma tu non te ne sei ancora accorto…

Non voglio far retorica. La nostra non è stata un’amicizia, non so che cosa avesse davvero dentro, non so se i nostri caratteri fossero adatti, e quando sono poi partito per l’America il contatto con lei è naturalmente cessato. Per non riprendere al mio ritorno, anche perché pur restando di base a Milano ho cominciato a vagare per sedi staccate. Ma rimane il ricordo di quella forma di accoglienza in Via Saldini che ha il suo volto, rimane il fatto che per me lei ha ancora quarant’anni e non riesco a credere che una malattia l’abbia portata via (come se una malattia non possa portare via anche a quell’età).

Lo so, sono così scombussolato per una forma estrema di solipsismo, sto improvvisamente accorgendomi che il tempo è brutalmente passato anche per me. Credo, spero di avere ancora tante belle cose davanti, ma molto è passato. Da domani, tutto questo si stempererà, ma mi conosco: Lucia ritornerà di tanto in tanto nei miei pensieri, e i miei occhi invisibili rivedranno il suo volto.

Non credo che sia opportuno scrivere post lunghi, ma questo è un  omaggio che le ho voluto fare.

Ciao Lucia

scritto da on Home

Nessun commento

Sono convinto (ragione) che uno debba tifare le squadre italiane nelle coppe, persino la Juve o l’Inter, perché se vincono acquistiamo punti nel ranking UEFA, e questo ha i suoi vantaggi. Pero stasera:

1)      Adoro la Catalunya, mi piace la Spagna e Barcellona, trovo gli spagnoli simpatici e le spagnole deliziose (sentimento)

2)      Adoro Messi, perché non solo è un campione, è un campione modesto, non è il fighetto alla Ronaldo, e poi, che sostanza! (ragione)

3)      Detesto (ragione e sentimento) a 360 gradi il presidente del Milan che se fossimo un paese in genere un po’ meno pusillanime e prono ai potenti avremmo già mandato in pensione a godersi le femmine che riesce a comperare (e non sono poche, porca miseria!)

Per cui stasera, accendendo la televisione, con un bel 20 minuti di ritardo (colpa di un articolo per un giornale da ricavare da uno scritto per una rivista, che avevo promesso per stasera e che avevo dimenticato, salvo un improvvisa folgorazione durante la cena), ero ben deciso a tifare Barcellona (ragione e sentimento).

Però mi spiegate, belin!, come si fa a tifare per una squadra che veste i suoi calciatori in modo che sembrano un molto malriuscito esperimento genetico di tulipani mezzo marciti?(estetica).

   

 

Morale, ho guardato la partita senza nessuna passione, rinviando il tifo alla partita di ritorno

I simboli

feb
2013
16

scritto da on Home

2 commenti

E’ un po’ che rimuginavo sulla forza che i simboli hanno sulla nostra vita: intendo gesti simbolici, riti simbolici, occasioni simboliche. Forse il primo pensiero mi è venuto osservando  questa foto che ha furoreggiato su Internet qualche tempo fa.

la bambina stringe il pollice del medico

E’ chiaramente visibile la manina della nascitura-si tratta di un parto cesareo-, che stringe l’indice (grazie Annina per avermi segnalato che non è il pollice, come avevo scritto nrella prima versione) di uno dei  dottori presenti al parto. E’ altamente probabile, per non dire certo, che l’evento sia del tutto casuale, o forse un gesto involontario da parte della bimba è ipotizzabile, certamente non un gesto cosciente. Eppure, che forza straordinaria in quella foto! Che emozione incredibile! C’è tutto il simbolismo della creatura che si affaccia al mondo, e che in fondo chiede un appoggio per compiere i primi passi. C’è, in noi che osserviamo, lo stupore e l’emozione di una vita che si affaccia al mondo, l’unico vero miracolo che ci circonda, e che si ripete quotidianamente in ogni parte del mondo, ma che è pur sempre un miracolo …

La seconda foto, anch’essa così simbolica, e così cliccata, rappresenta una leonessa che si prende cura di un cucciolo di impala.

La leonessa e l'impala

Alla quale il branco di cui la leonessa fa parte ha appena ucciso la madre, in un atto crudele ma  naturale. In  questa foto ci vedo la sintesi meravigliosa di tutte le contraddizioni che viviamo oggi giorno, come singoli, come persone che interagiscono, come società che si organizzano. La Pokies leonessa è preda di due istinti, quella della cacciatrice e quella della femmina di fronte a un cucciolo. Di solito è il primo che vince, visto che il cucciolo è anche preda. Stavolta no, forse anche per il fatto che presumibilmente lo stomaco della leonessa non lancia richiami troppo forti. Ma questo non ci importa: la lezione che ne traggo personalmente è che a volte dovremmo abbandonarci un po’ più fiduciosi a qualche nostra palese contraddizione, perché nessuno ha mai scritto che coerenza e logica sono un traguardo da inseguire ad ogni costo. E a volte le nostre contraddizioni possono anche piacere a chi ci piace.

In questi giorni poi è difficile non accennare al significato profondamente simbolico di quanto successo in Vaticano. Il ricordo di Celestino quinto credo sia affiorato a tutti quelli che della Commedia qualcosa si ricordano. Io sono convinto che le dimissioni (potenziali) di un papa siano una cosa tutto sommato naturale, sono convinto che nella storia ci siano stati una quantità notevole di papi che, formalmente in carica, di fatto poi erano incapaci e impediti di prendere qualsiasi decisione (con gravi danni per il governo della Chiesa). Però un’inferenza logica assai discutibile (il papa è scelto da Dio quindi solamente Dio può decidere quando decade) ha resistito negli anni, facendo sì che effettivamente quello di Benedetto XVI sia definibile davvero un gesto storico.  Che poi la chiesa cattolica per questo cambierà, è fatto assai opinabile, e secondo me  lo rimarrà nei secoli.

 

EL CLASICO

gen
2013
30

scritto da on Home

Nessun commento

Mi sono molto divertito a vedere, in un bar della Ramblas, El clasico, versione semifinale di andata, giocata a Madrid, della Coppa del Re. Premessa: il ragionamento che tanto a Barcellona tutti hanno la televisione e quindi non sarà difficile trovar posto è  terribilmente  sbagliato. Intanto non tiene conto del fatto che a Barcellona posso esserci dei madridisti in trasferta, e poi chi l’ha detto che ragazzi e ragazze in libera uscita non abbiano piacere di condividere urla, applausi e fischi bevendo una birra? Conclusione, la partita me la sono vista 100 minuti in piedi, e hamburger y fritas y cerveza, in questi rari casi ordinati senza nessun senso di colpa nei riguardi di ogni possibile esame del sangue, sono arrivati ben oltre il quarto d’ora della ripresa. Però le fritas erano bollenti come piacciono a me … Dunque la partita comincia e dopo poco più di un minuto Piquet detto Shakira, fresco neopapà, commette falta con annessa ammonizione, naturalmente su CR7 lanciato a rete, il quale, ancor più naturalmente, oltre a non evitare l’evitabilissimo contatto col piede di Piquet, compie un balzo degno di Beamon alle Olimpiadi di Messico 68 per cercare di dimostrare che il presunto sgambetto è avvenuto dentro l’area. L’arbitro non ci cade. Notazione statistica, il secondo fallo del Barça è fischiato esattamente al sessantesimo minuto! Dunque, il Barça si schiera senza il Conte di turno in panchina, per motivi sfortunatamente più seri di quelli che hanno appiedato in biondo crinito nostro. Poi in campo nove giocatori e mezzo, più un provocatore. Quest’ultimo è Dany Alves, precisazione inutile per chiunque conosca un po’ di Liga. Il mezzo invece è il cartellino di Messi, perché lui ha deciso stavolta di non scendere in campo. Però il cartellino vale mezzo perché a fronte di tanto nome un difensore vicino il Real ogni tanto glielo schiera. Il Real invece si presenta in campo con 9 giocatori, un bandito e lui, CR7, che sembra sempre sul punto di fare sfracelli, però … Ah, il bandito è Xavi Alonso, che se non avesse fatto il calciatore avrebbe fatto il delinquente, o forse in realtà fa tutte e due le cose in campo.

Occasioni da una parte e dall’altra, più nette da parte blaugrana, ma un vantaggio del Real non griderebbe vendetta. Traversa su punizione di Xavi, e finisce il primo tempo. Possesso palla: inutile dire percentuali, chiunque leggesse questo saprebbe la risposta. La ripresa inizia con lo stesso copione, fino al gol del Barcellona. Dopo il quale per venti minuti l’unica cosa interessante è un recupero in situazione delicata di Piquet, che si fa anche male alle costole. Rialzandosi trova un accendino lanciatogli dagli spalti, e lo dà al mitico Puyol che lo butta via, invece  di ricamarci su qualche sceneggiata nel tentativo di guadagnarci qualcosa. La partita potrebbe essere cambiata da un episodio casuale, che con queste due squadre è sempre in agguato. E infatti succede, e non è Messi che decide di scendere in campo, ma un gol del Real. Chi si aspetta che questo cambi tutto si sbaglia di grosso. Il Barça accentua il controllo palla, costruisce un paio di occasioni, le sbaglia, e aspetta la gara di ritorno al Camp Nou. Il Real è visibilmente rassegnato. Dalla panchina nemmeno manette. Peccato che quando si rivedranno in campo  sarò rientrato in Italia.

scritto da on Home

1 commento

Il commento di Polimena (al post di Spazio[bianco]) mi ha fatto pensare … mi ha colpito il numero di studenti che ha voluto citare. Il giorno dopo Ivrea ho fatto un altro minicorso in Bocconi, sempre per studenti delle superiori, questi dell’ultimo anno (attenzione alle inferenze statistiche: due minicorsi alla settimana? Sì, l’altra settimana. Probabilmente saranno gli unici dell’anno). In Bocconi erano più di 200, forse 250 e, pur trattando gli stessi temi, sulle stesse slides, la mia presentazione è stata abbastanza diversa. E’ un ovvietà, forse, ma numeri molto diversi  impongono strategie differenti. Non c’è dubbio che nel secondo caso ho avuto atteggiamenti  molto più istrionici, ho “sollecitato” la risata più e più volte. Nulla di programmato, ma l’adrenalina mi ha spinto a questo. Subito ho pensato che fosse un modo per caricarmi, visto che era venerdì pomeriggio e la settimana mi pesava tutta sulle spalle, ma poi ho capito che non è così. E dunque insegno a classi di 50, oppure di 100, a volte di 200 e passa, ma credo di dare il mio meglio nel rapporto uno a uno. Quando uno studente lavora in tesi con me. A me sembra in questi casi (anche se non sempre) di poter dare veramente moltissimo, e che gli studenti lo apprezzino e ne siano supermotivati. Wladimir, qualche anno fa, mi ha dato l’impressione che lavorare alla tesi con me sia stata una delle pochissime cose che gli sono piaciute al Politecnico. Considerando che oggi fa il regista, non c’è da stupirsi … però sono certo che il suo studio dei con i modelli di scambio di donatori di reni, se la ricorderà anche a teatro perché alla fine si vedeva benissimo che ci si era appassionato. Ed è un’ ottima cosa che un futuro regista abbia fatto un bel lavoro di tipo scientifico!  L’ultima esperienza è stata Benedetta, ed è interessante il fatto che la sua tesi ha stentato parecchio a partire, che abbiamo vagolato per argomenti che non ci convincevano, poi piano piano … ci abbiamo lavorato parecchio, soprattutto lei, ma anche io le ho dedicato più tempo della media di una tesi. Che alla fine ha proprio catturato tutta la sua attenzione. Le sue parole di ringraziamento, stampate sulla versione finale, mi hanno molto colpito; ho pensato che davvero non poteva dirmi nulla di più bello. Sono queste le cose per le quali non mi stancherò mai del mio lavoro. Certo, una come lei mi capita molto raramente, anche perché con pochissimi studenti ho giocato a tennis, ma lei è proprio l’unica che mi ha spaccato la racchetta!

Spazio[bianco]

gen
2013
24

scritto da on Home

4 commenti

Il 23-24 Gennaio sono stato a Ivrea per tenere un minicorso di 6 ore di teoria dei Giochi ad alcune classi di terza e di quarta del Liceo Botta. Devo ammettere che sono rimasto molto sorpreso da come si sono svolte queste sei ore di attività. Ho parlato per due mattine, per tre ore ciascuna, (con un breve intervallo a metà circa). Anche se so che i temi di teoria dei giochi sono accattivanti, mi aspettavo qualche difficoltà nel tenere 50 ragazzi silenziosi e interessati per tre ore, e per due giorni di fila. I risultati sono stati davvero notevoli. Mi hanno seguito con attenzione,  hanno risposto alle domande che facevo con grande partecipazione, e senza troppo timore, hanno partecipato volentieri a un paio di giochini che ho organizzato. E poi le 6 ore di tempo, che temevo un po’, mi hanno in realtà aiutato, perché una volta tanto non mi sono fatto prendere dall’ansia di fare poco e quindi dall’impulso di correre.  Insomma, un risultato davvero inaspettato. C’`e poi stata una cosa che mi ha fatto davvero sorridere. Alla fine della prima giornata, una ragazza è venuta a dirmi se poteva farmi una domanda. Ovviamente me l’ha fatta; ero pronto a rispondere chissà che di teoria dei giochi ma lei mi ha messo davanti un problemino che, presumo, aveva da svolgere per compito. Seppure sorpreso, sono riuscito a risponderle, e se ne è andata tutta contenta, anche perché alla soluzione c’era praticamente arrivata da sola. Mi ha fatto una tenerezza enorme!  Evidentemente le avevo ispirato fiducia. Non solo e non tanto sul fatto che potessi darle une risposta corretta e chiara, quanto che fossi una persona cui poter chiedere senza problemi anche qualcosa che non c’entrava con quanto avevo presentato. Un atteggiamento forse un po’ ingenuo il suo, del resto ampiamente motivato dall’età, ma che mi ha gratificato molto, non solo sorpreso.

 Il pensiero più chiaro che ho fatto venendo via da Ivrea è che esistono realtà che andrebbero davvero valorizzate invece di parlare sempre e solo di quel che non funziona; realtà in cui la scuola è una cosa seria, tenere i ragazzi a un comportamento adeguato non è una guerra di sfinimento, e le persone lavorano e ti ascoltano volentieri. Non so e non mi interessa sapere se questo succede perché Ivrea è una cittadina piccola, con buone tradizioni culturali, o se questo succede anche in altre realtà . Mi interessa che succeda. La conclusione è che, se lo vorranno, a Ivrea ci tornerò. Non solo perché non ho fatto in tempo a fare i giochi cooperativi, non solo perché quelle tre classi si sono comportate così bene, ma anche perché mi piace moltissimo fermarmi al B&B spazio [bianco], che è a 50 metri dalla scuola; un posto bellissimo, ben tenuto, elegante, silenzioso, che ti mette a tuo agio, e gestito da Brunella, che te lo fa apprezzare ancor di più per la cura e  l’amore che mette nel suo lavoro.

scritto da on Home

Nessun commento

Ecco l’edizione slovena di Passione per Trilli!

 

Dear Professor Lucchetti,

I have pleasure in informing you  that we have concluded a license agreement for  the Slovenian language edition of your above-mentioned (si tratta di Passione per Trilli) with  the Society of Mathematicians, Physicist & Astronomers Publishing, Ljubljana. The print-run is x copies and the license fee y which will be divided equally between yourself and Springer.

The Slovenian edition has been published in the meantime and under separate cover I am sending today four  copies of the book to each of you I sincerely hope that you will be pleased with the lay-out and presentation of the work.

 

Non ci guadagno granche’, meglio dire non ci guadagno nulla, se non la soddisfazione, un po’ autoironica, di sapere che qualcuno mi leggera’ in sloveno!

scritto da on Home

2 commenti

Da un po’ di tempo mi frulla in testa l’idea di come iniziare il mio blog. Finalmente mi è venuta un’idea che mi piace, e cioè parlare del nipotino e dei suoi coetanei. E’ molto bello avere un nipote, che non vedo spesso ma che ho vicino, per cui se voglio andare a trovarlo, o ospitarlo, non è un’impresa come per quei nonni che vivono lontano da loro. Intanto è molto bello avere meno obblighi rispetto ai genitori: dargli ogni tanto una caramella non è un problema! Ma il fatto più sorprendente è la libertà con cui posso osservarlo, un po’ più da lontano di un genitore, perché questo mi permette di vedere cose che da genitore vedi meno. Intanto, è straordinario il fatto che, pur essendo così piccoli e apparentemente indifesi, in realtà sono vere macchine da guerra, e sanno sfruttare alla perfezione l’ambiente che li circonda. Poi, altro fatto interessante, è vedere il loro incredibile lavoro mentale. Che ovviamente è meno cosciente che in un adulto, ma che segue un filo conduttore precisissimo. Hanno idee chiare, sanno che vogliono; anche quando apparentemente proponi loro cose interessanti, se hanno qualcosa di diverso in testa non bisogna contraddirli. Per questo a mio avviso è un errore abbastanza grave e abbastanza frequente intervenire su di loro: lasciamoli fare! Gli interventi degli adulti dovrebbero essere pochi e mirati. Così come le regole, che però vanno fatte rispettare sempre (anche se une certa flessibilità intelligente si può usare). Ma l’aspetto più importante è il fatto che il loro cervello è sistematicamente sottostimato dagli adulti. Quanti grandi che parlano ai bambini come se fossero stupidi, a cominciare dal tono di voce! Nulla di più sbagliato. I bambini sono intelligenti, il loro cervello è incredibilmente ricettivo, non bisogna aver paura di usare con loro parole difficili o fare discorsi non semplici, capiscono di più di quel che pensiamo, e anche se magari non capiscono esattamente quel che vogliamo loro dire, lo elaborano in maniera sempre interessante. Mio nipote non aveva ancora un anno che quando lo portavi sulle spalle e gli dicevi “tocca gli stipiti”, alzava il braccino e ci rimaneva male se non ci arrivava. Adesso che ha poco più di tre anni usa con disinvoltura congiuntivi e condizionali. E poi la maggior parte del tempo ci diamo del lei (mentre giochiamo) e per lui passare dal tu al lei e viceversa è cosa naturalissima. Quindi non bisogna aver paura a dire loro cose inconsuete e stravaganti (che a loro piacciono moltissimo). Così facendo può succedere che in una bellissima forneria-pasticceria, dove è stato portato per prendere qualcosa da mangiare per merenda, dopo aver guardato con interesse focaccine, pizzette e pasticcini, Matteo ti dica: “per me, olive taggiasche”.

Nuovo sito!

gen
2013
09

scritto da on Home

1 commento

Benvenuti nel mio nuovo sito! E’ con un po’ di emozione che scrivo queste mie prime parole.  L’idea di averne uno, come spesso succede, e’ nata per imitazione: nell’ultimo anno ho spesso visitato e sempre apprezzato moltissimo il sito curato da un’amica,  che quando decidero’ di fare una sezione dedicata alla segnalazione degli altri siti diventera’ ovviamente il primo della lista. Mi fara’ piacere ricevere ogni commento e, forse, instaurare qualche nuova amicizia. E poi lo uso anche per me, e per il mio lavoro. In fondo e’ comodo avere su web un posto dove aggiornare le proprie esperienze professionali. Mi scuso in anticipo su una cosa che per me ha una certa importanza: l’uso degli accenti. Dipende dal computer sul quale lavoro, e quindi dalla tastiera corrispondente! Per lavoro, uso una tastiera americana che, ahime’, non ha gli accenti. Scusate! E mi scuserete quando scrivero’ qualcosa dalla Francia, per esperienza tutto quel che scrivo da li’ ha una drammatica carenza di  “a” e un illogico numero di “q”! Un saluto, e a presto con commenti e discussioni

Roberto