Guerre di religione

mag
2014
20

scritto da on Home

1 commento

Oggi voglio parlare del fatto che a me sembra che il fanatismo, il totale disinteresse per provare a capire gli argomenti degli altri, il fatto di non accettare mai le decisioni della maggioranza non tanto nella convinzione di essere nel giusto, quanto nella certezza di star combattendo una guerra di religione, stiano dilagando sempre più, anche tra ambienti dove, uno si immagina, le persone dovrebbero essere portate a una maggiore riflessione. A volte mi chiedo se non sia, forse, più un modo di esprimersi che non una reale chiusura mentale: molte di queste forme di dogmatismo, almeno alcune di quelle che ho in testa, si esprimono con mezzi come Internet che tendono a farci esporre concetti con una semplificazione, e quindi con una radicalizzazione, estrema. Ma temo non sia così. Vorrei fare tre esempi, due dei quali solo accennati, solo perché mi hanno colpito, sull’altro invece mi dilungo un po’ di più, perché mi interessa più personalmente.

Faccio la breve premessa che oggi siamo sempre di più di fronte a problematiche complesse, che riguardano questioni spesso molto sofisticate, per cui è evidentemente difficile che una qualunque decisione presa porti solo vantaggi, sia valida per sempre, non necessiti continui adattamenti. Questo dovrebbe suggerire, secondo me, un atteggiamento più illuminato, più incline all’accettazione delle decisioni quando non ci trovano d’accordo, e non il contrario.

Il primo esempio è l’annosa questione della TAV. Intanto, mi sembra che dopo decine e decine di giudizi, appelli, processi, sentenze, una volta presa una decisione, questa non dovrebbe essere più messa in discussione. Capisco che in realtà la questione TAV è diventata per alcuni una buona ragione per sfogare istinti anarcoidi o antisistema, per altri per sfogare il loro mai spento pesudointellettualismo da strapazzo (e questi  sono davvero i più odiosi di tutti), ma perché proprio la TAV è diventata un simbolo? Non capisco bene quel che è legato all’idea di trasporto. Ho fatto l’esperienza della galleria del monte Barro, anni e anni per farla, corsi e ricorsi, guerre di religione…ora che c’è la mia impressione è che il monte Barro sia molto più godibile di prima; le auto scorrono veloci dove un tempo si facevano code kilometriche con miasmi conseguenti, e non sto affatto dicendo che costruire una nuova strada, una nuova galleria, un nuovo ponte, un’altra strada siano SEMPRE buone idee (magari un giorno racconto il paradosso di Braess, un esempio famoso in teoria dei giochi dove si vede che fare una nuova strada può portare a un aumento dei tempi di percorrenza, inoltre è ovvio che nuovi mezzi di comunicazione incentivano uno spostarsi a volte poco sensato…), voglio solo dire che, come dovrebbe essere ovvio, si tratta di fare un bilancio onesto e senza pregiudizi tra vantaggi e svantaggi.

Il secondo esempio è relativo a una questione discussa su Facebook in questi giorni: una partita organizzata per beneficenza da una onlus che si occupa di una malattia molto rara che colpisce i bambini, è stata annullata per le minacce degli animalisti, che avevano minacciato azioni violente in quanto una delle squadre ha come sponsor una società che fa sperimentazione su animali. Ora questo a me sembra inaccettabile. La sperimentazione animale è un tema delicato, sul quale avere certezze dogmatiche è del tutto fuori luogo. Sono a favore di chi pretende rigorosi controlli, sono per chi combatte dure battaglie perché la sperimentazione animale sia sostituita da altro ogni volta che sia possibile, sarei felice se chiudessero quel lo zoo dove hanno ammazzato (in pubblico!) una giovane giraffa per questioni che mi interessano poco, però allo stesso tempo le persone che sono disposte a calpestare propri simili in difesa dei ratti da laboratorio mi fanno davvero intellettualmente paura. A me sembra che più che amore per gli animali questo sia odio per i propri simili (escluso qualche privilegiato). E credo che tutti quelli che non la pensano come questi fanatici dovrebbero ribellarsi di fronte a queste prepotenze.

E vengo alla questione che mi tocca più da vicino. Un po’ di tempo fa il Senato Accademico del Politecnico di Milano ha deciso che i corsi delle lauree magistrali sarebbero, da un certo momento in poi, stati erogati esclusivamente in lingua inglese. Come spesso succede, i vari passi della decisone sono passati senza apparente reazioni, ma quando si è arrivati alla decisione finale si è scatenata la bagarre. Si è anche arrivati a un ricorso al TAR (c’è sempre un TAR da qualche parte nella nostra vita…), che ha per il momento sospeso la decisione del Politecnico, con conseguente appello al Consiglio di Stato, che ovviamente ha chiesto supplementi di informazione: come è quella famosa? Mentre a Roma si discute, Sagunto brucia…Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur….

Vorrei chiarire la mia posizione personale su questo punto. Ancora una volta, vedo pregi e difetti in questa decisione. Aprirsi veramente agli studenti internazionali secondo me non è più nemmeno una scelta, è una necessità. Ho visto da tanti anni in Francia questo fenomeno, e in certi momenti alcune Università sono state salvate dalla presenza di studenti stranieri. E poi sono evidenti i vantaggi di formare persone specializzate da noi: spesso quando tornano nei loro paesi  mantengono rapporti di lavoro con l’Italia. Tuttavia ho avuto qualche dubbio sulla decisione perché mi è parsa troppo radicale. Sono convinto che la scelta dell’Inglese sia naturale per certi corsi di studio, meno per altri, sono convinto che qualche percorso in Italiano avrebbe salvaguardato  studenti un po’ timorosi di passare a studiare in una lingua straniera, anche se il loro numero è per fortuna in drastica diminuzione. Comunque la decisione è stata presa dopo tante discussioni, ed è evidente che si tratta di una scelta strategica che va valutata nel lungo periodo, il che tra l’altro inficia molte delle argomentazioni che ho sentito, sia favorevoli sia contrarie, basate su considerazioni che hanno senso solo sul periodo molto breve.

La maggioranza dell’Ateneo sembra aver accettato la decisione presa dai vertici, alcuni forse l’hanno subita ma accettata, poi c’è chi invece della lotta all’Inglese obbligatorio nelle Lauree Magistrali ne ha fatto una guerra di religione. Già a me le guerre non piacciono, quelle di religione ancora meno, quello che mi infastidisce enormemente in questa è il fatto che chi la porta avanti si è autoproclamato il difensore della lingua italiana. Io ritengo che assimilare i favorevoli alla decisione a quanti disprezzano o non vogliono difendere la lingua italiana sia francamente offensivo.

Sono colpito dal fatto che nella mente di queste persone non passi nemmeno un attimo l’idea che si possa avere una visione diversa delle cose: c’è chi come me pensa che le nozioni che eroghi a ragazzi di 22-24 siano ormai soprattutto avanzate, tecniche, non più così formative. Ho fatto un lavoretto per una banca, in un dipartimento dove lavora una mia ex-laureanda, e ci siamo trasmessi tutti i documenti in Inglese, perché così era più comodo. La formazione vera si fa prima… Ho letto articoli (ogni singolo articolo che (s)parlava della decisone del Politecnico ci veniva mandato nella lista docenti) scritti in un italiano vergognoso, questo sì che mi dà fastidio… sono pronto, se questi signori volessero fare davvero qualcosa di utile, a rumoreggiare e spernacchiare ogni volta che qualcuno, forse per apparire à la page, usa termini inglesi ridicoli. Detesto l’uso della parola “endorsement” e come questa cento altre che potrebbero essere tranquillamente tradotte ma così non fa figo…ecco su questo sono pronto a far battaglie. Come avrei apprezzato che quelli così contrari, una volta che la decisone è passata, avessero fatto una battaglia per organizzare all’interno dell’Ateneo delle attività di valorizzazione della lingua italiana; sono convinto che si sarebbero trovate un sacco di persone  come me al loro fianco…ma forse una guerra ideologica fa più comodo.

La lingua si può difendere in mille modi, esistono tante iniziative possibili per salvaguardare l’italiano. Mi piacerebbe parlare in Ateneo di che cosa possiamo fare, con la presenza di tanti studenti stranieri, per diffondere anche la nostra lingua. E queste iniziative potrebbero coinvolgere, ovviamente, anche gli studenti italiani. Così si fa un servizio alla lingua italiana e alla comunità alla quale si appartiene, anche quando vengono prese decisioni che non ci trovano d’accordo.

Amo la lingua italiana. Quest’anno ho tenuto un corso di teoria dei giochi e uno di game theory: sono sostanzialmente indifferente sulla lingua che uso (ammetto che in matematica questo è molto più facile che in altre discipline, comunque). Non mi importa nulla che l’anno prossimo saranno entrambi in Inglese, mi importa lavorare in un ambiente che cerca di essere eccellente, che vuole crescere, e dove tutti remano nella stessa direzione.

 

One comment on “Guerre di religione

  1. Viviana on said:

    Mi trovi assolutamente d’accordo sulle premesse. Manca l’ascolto aprioristico, l’apertura mentale, la capacità di adattarsi agli altri e ai cambiamenti. In generale questo è un Paese provinciale in cui il pensiero spesso è sostituito dai vessilli, dal tifo calcistico applicato a tutte le categorie di pensiero. Il confronto richiede qualità in via di estinzione e le difficoltà del quotidiano scatenano e convogliano i peggiori istinti verso battaglie che potrebbero essere risolte con un dialogo costruttivo e tenendo conto che in molti casi non esiste una verità assoluta.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

I tag HTML non sono ammessi