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Mi piacciono moltissimo questi libretti di Adelphi, una casa editrice senza la quale il mio mondo, almeno quello dei libri, sarebbe più triste e più povero. E in questo periodo storie brevi sono adattissime alla vita che faccio. Dunque non mi stupisce che anche questo di J. Echenoz mi sia piaciuto molto. Il libro parla della storia di Emil Zátopek, famosissimo corridore slovacco, vincitore di quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi, e detentore di numerosissimi record. Tanto per inquadrare il tipo, ha vinto a Londra la medaglia d’oro dei 10.000 correndo per la seconda volta una gara ufficiale sulla distanza! Oggi credo che questo sarebbe impossibile, data la incredibile specializzazione a cui si è arrivati negli sport, ma anche allora è stato un fatto sensazionale. Il libro narra la sua storia, e per far questo getta qualche sguardo, e forse qualcosa di più di uno sguardo, al mondo del tempo nella sua terra, quella Cecoslovacchia che viveva sotto il pugno di ferro (a volte anche di velluto, quando il ferro non era necessario) del regime comunista. Il testo si legge benissimo, è scritto ottimamente e credo possa interessare e divertire anche chi non ha mai fatto dello sport, attivo o soltanto spiato attraverso la frequentazione di stadi, la televisione o la lettura, una grande passione-magari nel mezzo di due letture molti più impegnative-. Sarebbe un buon libro, che però a mio avviso diventa ottimo per l’ultimo capitolo, che ho trovato assolutamente eccezionale. Non dico di che parla, per non anticipare le cose a qualcuno potrebbe  decidere di leggerselo. Se ne può sempre parlare dopo!

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Quando facevo il Liceo ho avuto la fortuna straordinaria di potermi recare alla Libreria Di Stefano di Genova dove mi potevo permettere di prendere un gran numero di libri che poi in gran parte rendevo … Questo privilegio penso fosse merito di tutti quelli che comperava mio padre e poi in effetti alla fine ne compravo anche io di più di quelli che avrei comprato da  un’altra parte, dove il libro lo guardi lo prendi e lo paghi. E’ stata questa opportunità, credo, che mi ha fatto diventare un lettore molto assiduo, e soprattutto a caccia di libri non solo alla moda. Oggi non so nemmeno se la Libreria c’è ancora, ma la tecnologia mi permette di fare la stessa cosa! Infatti ogni mattina ricevo una newsletter dove trovo le offerte sugli ebook di un sito che va per la maggiore. E’ così che mi ritrovo sull’ Ipad libri che mai e poi mai avrei comprato in libreria. Ed è vero che adesso li pago, ma visto che in meno di un minuto da casa ho il libro con me, in realtà spendo meno di quando andavo col bus andata e ritorno  a prendermeli … insomma una evidente sponsorizzazione della lettura su dispositivo elettronico!

Lo spunto per questa nota viene dalla lettura del libro la signora del furgone. Un breve resoconto, pubblicato da Adelphi, di una curiosissima esperienza di vita fatta dall’autore, che ha ospitato per un certo numero di anni (parecchi!) nel giardino di casa  sua una stravagante signora che viveva all’interno di un furgone. Ho letto qualche commento in rete sul libro, e non pochi si soffermano sulla tristezza e/o lo squallore della vicenda. Per me non è così, la mia impressione è che questo incontro tra due persone decisamente  fuori dal coro abbia dato molto a entrambi. Certo il modo in cui questo si è dipanato non rientra nei nostri canoni,  ma ciò significa solo che non saremmo capaci di vivere una situazione simile, non che questa storia non abbia avuto senso per i protagonisti. Il libro si legge in un baleno, è scritto in maniera semplice e scorre benissimo, insomma mi sento di consigliarlo.

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Scomparsa è la storia di una ragazza che un giorno, mentre terminava la sua giornata di lavoro come agente immobiliare, è stata rapita. Storia raccontata dalla ragazza stessa, in maniera molto originale. Il libro infatti è diviso in capitoli, ognuno dei quali tratta di quel che  lei racconta in una seduta alla psicologa che l’ha presa in cura. Si tratta di un giallo, ma molto anomalo. C’è una trama, che non costituisce però il pezzo forte del libro. Che ho letto quasi con voracità. Non è un periodo di grandi letture per me, la sera quando potrei sono troppo stanco, per cui in genere procedo lentamente. Questo invece, complice anche il breve soggiorno catalano, l’ho letto in maniera serrata. E’ un libro che consiglio. Forse certi aspetti psicologici della vicenda sono un pochino scontati, per un lettore particolarmente smaliziato, ma il libro scorre, le pagine sono accattivanti, la vicenda è raccontata con il linguaggio giusto per una storia del genere. Non mi stupisce che sia un libro che ha venduto moltissimo in tanti paesi e che abbia vinto dei premi. Considerando che si tratta del libro di un esordiente, c’è da annotarsi il nome perché se mantiene questo livello leggerlo sarà sempre un piacere. Nonostante il fatto che la storia sia spietata, che il linguaggio sia crudo (ma né volgare né violento), che tutta la vicenda nonché il suo finale lascino poco spazio alla speranza e alla consolazione. L’unico appunto che mi sento di fare al libro è che la trama è un po’ esile, a mio avviso, ma questo per me è stato un fatto di molto poco conto. In fondo per me la vicenda poteva anche non avere una fine compiuta nel racconto, e la ragione del rapimento non essere mai svelata, questo non avrebbe cambiato il giudizio sul libro. Ma un giallo, si sa, alla fine una spiegazione deve ben darla.

PS Aggiungo questo post scriptum perché mi ha molto colpito una cosa. Andando su google per caricare la copertina del libro, ho scoperto, e la cosa mi ha sorpreso moltissimo, che l’autore è una donna. Ecco perché metto anche la sua foto, e mi piacerebbe trovare una spiegazione del perché non mi sia passato nemmeno per la mente che l’autore potesse essere di genere femminile …

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Vedi il commento sotto sul libro della Lorenzini, di questo esperimento letterario non ho la minima idea del perché sia finito fra i miei ebook. Bene, non posso che dichiararmi di essere stato molto affascinato dalla sua lettura, che si brucia in tempo brevissimo. Il librettino è costruito con frasi che hanno la proprietà di poter essere messe su Twitter, e di più non mi addentro perché T. è una cosa di cui non mi sono mai occupato, e di cui sono particolarmente soddisfatto di non esserne curioso. Troppe volte la curiosità mi porta  a occuparmi di cose irrilevanti … o semplicemente noiose. Tornando al libretto, non ne voglio dire proprio nulla della trama, anche se certamente conoscerla non toglierebbe gusto alla lettura. L’ho trovato comunque un mezzo espressivo efficacissimo, il vincolo di frasi che non possono superare una certa lunghezza rende necessario un modo sintetico e privo di fronzoli per comunicare. Credo che l’autrice abbia mostrato come le nuove tecnologie ci forzino a trovare nuovi metodi espressivi, e che indichi con questa suo contributo come farlo in modo intelligente. Mi viene in mente Glattauer Insomma lo consiglio a tutti quelli che hanno voglia di leggere qualcosa, e hanno un’ora per farlo. E poi mi piacerebbe ascoltare commenti.

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Ho letto questo libro perché ne ho trovato la recensione qui

trecugggine.wordpress.com

e naturalmente perché l’ho trovato in ebook: la tentazione di scaricarlo è irresistibile, un paio di click, una spesa davvero contenuta, la biblioteca digitale si arricchisce. Ne scarico molti, di alcuni non ricordo nemmeno perché, o un’offerta di quelle che mi arrivano ogni mattina o la recensione di uno dei miei (due) siti preferiti, questo l’ho cominciato subito. E confermo quanto scritto da Polimena, lettura particolarmente piacevole, leggera ma non superficiale, tutto scorre rapidamente ma lasciando qualcosa. Non so se sbaglio, la mia impressione è che ci sia un fiorire di autori giovani, l’autrice del libro ha poco più di trent’anni, e questo a me piace molto. Leggere autori nuovi e giovani è bello, e ti dà l’impressione di partecipare alla letteratura del tuo tempo. Forse, rispetto alla recensione di Polimena, che come detto sottoscrivo, metterei in evidenza il carinissimo ebook  manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (economica) che non solo dà buoni consigli, ma che in un certo senso sembra un’emanazione del libro, un suo complemento naturale. Se mi posso permettere una piccola osservazione sul libro stesso, penso che un pochino più condensato sarebbe stato meglio. Certe parti sono forse un po’ svagate e non sembrano davvero funzionali al racconto. Ma forse Sara ha voluto davvero raccontare tante cose della sua vita,e qualche episodio può darsi che sia reminiscenza di certe momenti rimasti nel suo cuore. E poi che gli autori dovrebbero molto spesso essere più asciutti è una mia vera mania, una delle mie frasi cult è sicuramente

scusa se ti ho scritto una lettera così lunga,  ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve.

Com’è vera!

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Alicia Giménez-Bartlett è una signora spagnola sessantenne, che assomiglia proprio a quel che è. Eppure evidentemente cova un’anima maliziosa, se si diverte così con la sua Pedra Delicado, bravissima poliziotta, tanto talebana nella sua ricerca della verità quanto perlomeno libera nei suoi pensieri, nei suoi comportamenti, nei suoi costumi … insomma, a parte i tre matrimoni, non c’è viaggio in cui non incontri un poliziotto super bello e/o super interessante, e non ne tragga quindi le sue conclusioni senza remore di sorta. Ed è proprio per Pedra che leggo i libri della Bartlett, oltre che per l’altra caratteristica che me li rende particolarmente attraenti: le trame non sono mai troppo elaborate, troppo arzigogolate, troppo palesemente improbabili. Anzi, le sue storie alla fine non mi interessano più di tanto. Certo, la trama deve essere almeno credibile, ma in fondo poi quel che mi  rimane dei suoi libri è l’aver passato un po’ di tempo in piacevole compagnia della poliziotta e della sua autrice. Venendo più in particolare a quest’ultimo, l’ho letto col solito piacere, anche se non è un periodo in cui riesco a leggere con costanza; per di più mi sembra che questo alla fine sia davvero un po’ troppo diluito. Insomma, né la storia né quel che ci ha da dire la sua autrice mi sembra che meritino 500 pagine.  Alicia preferisce il romanzo al racconto, come ha scritto in una raccolta di racconti, e qui si capisce bene:  la storia diventa una scusa per fare piccole digressioni, esprimere concetti e pensieri che forse per timidezza non vuol mettere in troppa evidenza … meglio,  molto meglio diluirli lungo una storia. Rimane il fatto che, a differenza di lei, io penso che i suoi racconti siano molto eleganti, efficaci, ben scritti: letterariamente, forse meglio dei suoi romanzi (a chi interessasse: Il caso del Lituano). In ogni caso, il libro vale la pena, perché scrive bene, non è mai troppo pesante,  spesso è arguta e divertente:

gli italiani sono disposti ad accettare l’uniformità che un ruolo determinato impone, ma vi introducono immancabilmente un particolare bizzarro, una nota spiritosa, che sancisce il loro distacco dalle convenzioni.

In questa frase si legge tutta la sua ammirata e dichiarata simpatia per l’Italia e gli italiani, che non mi ha fatto per nulla stupire del fatto che abbia deciso in questo romanzo di far fare a Pedra un viaggetto tra noi.

E anche le sue osservazioni più profonde sono sempre scritte senza troppa pesantezza, e soprattutto messe lì senza troppi commenti, e apparentemente straniate dai fatti contingenti narrati in quel momento:

La sola cosa che vince la morte è vivere qualche minuto senza nessuna filosofia, senza nessuna morale; non più animali nobilitati dal soffio divino, ma solo e semplicemente animali.

Insomma, anche stavolta Alicia mi ha fatto passare dei bei momenti; e poi come potrei non parlare più che bene di un’autrice che mi ha fatto una lunga dedica su un suo libro, dedica che comincia

Para Roberto,

mi primer marido italiano

(Ovviamente non indago se nel frattempo c’è n’è un secondo, un terzo …)

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Un tipico romanzo breve per i tipi di Adelphi. Ove si tratta di un geniale e molto stravagante inventore, che esercita i suoi talenti e dà sfogo alle sue stravaganze sullo sfondo di un’America  fine ottocento. Si dice, ma a me non interessa, che per  la figura di Gregor Echenoz tragga spunto da un personaggio reale. Questo non toglie né dà nulla al romanzo. Che scorre la vita di questo scienziato eccentrico, alto più di due metri, geniale inventore sia di  macchine che trovano immediate applicazioni (sua l’idea di sostituire la produzione di corrente continua con quella alternata), sia di altre semplicemente futuristiche o addirittura visionarie; persona lunatica, poco interessata agli uomini e al denaro, per nulla alle donne, simpatetico solo con i piccioni. Scritto magistralmente, ecco ad esempio un passaggio straordinario:

Il piccione codardo, subdolo, sporco, scialbo, sciocco, ignavo, vuoto, vile, vano.

Mai commovente, profondamente anaffettivo, lo squallido piccione con la sua stupida voce. Con il suo volo gracchiante. Con il suo sguardo sordo. Con il suo beccuzzare assurdo. Con il suo occipite decerebrato scosso da un irritante va e vieni. Con la sua vergognosa indecisione, la sua costernante sessualità.

 

Oppure questa frase che mostra quanto l’autore conosca la psicologia di chi si occupa di ricerca, a tutti i livelli, compresi quelli di non straordinaria qualità:

Per prima cosa teme che, come sempre nella sua vita e nella storia delle scienze, l’idea germogli nello stesso momento in altri cervelli e che in definitiva gliela rubino di nuov.

Insomma avrete capito che si tratta di un libro scritto splendidamente. Il che, ne ho riprova ogni giorno di più, non significa necessariamente di essere di fronte a un grande romanzo. Non lo implica nemmeno in questo caso. Ho trovato il libro un po’ lungo, come molto spesso succede l’autore non ha una capacità di sintesi che gli permetta di sfrondare la prima stesura dalle parti non essenziali. Il fatto è che non sempre a dilungarsi si scrive Cent’anni di solitudine… insomma un grandissimo libro si distingue anche per non dire nulla di inutile, e qui questo non succede. Rimane il fatto che Adelphi ancora una volta ci regala un libro, che in forma di ebook ho preso quasi gratis, e che se anche non rimane scolpito nella mente, certamente non  fa rimpiangere il tempo speso per leggerlo.

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Paura di Stefan Zweig è un romanzo breve su cui sono “inciampato” leggendone la recensione nel mio blog preferito. Non conoscevo Zweig, di cui ho scoperto, grazie a questa lettura e la curiosità che mi ha suscitato, la vita avventurosa terminata con la tragedia del suicidio, la grande produzione letteraria, la notorietà ai suoi tempi. La lettura comincia in maniera promettente: molte sono le intuizioni e le gemme psicologiche nella descrizione della protagonista …  ovunque le era venuto incontro l’aspetto carezzevole del mondo, ovunque trovava premure, tenerezza, amore quieto e rispettosa protezione: lei tuttavia, senza sospettare che quel carattere misurato dell’esistenza non dipendeva dagli oggetti esterni, ma era sempre e soltanto il riflesso della sua intima incapacità di legarsi sul serio, aveva la sensazione che quell’agio la defraudasse della vita vera. Questo è solo un piccolo esempio, se ne potrebbero fare altri (vedi Stravagaria, sotto la categoria libri, post di Giovedì 1 Novembre). Tuttavia, devo confessare che la lettura del libro alla fine mi ha deluso. Intanto, lo stile spesso è piuttosto barocco (cercano di tessere con pazienza la tela della quotidianità anche utilizzando il sentimento più inconsueto fino ad arrivare al terribile guardare nella canna di una pistola, in quel cilindro nero dove si annida la morte). Poi la vicenda in realtà secondo me in molti punti si trascina un po’. Il finale, prevedibilissimo, almeno in parte, è preannunciato abbastanza presto, la presunta tensione psicologica del racconto annacquata dal fatto che solo la protagonista sembra non aver capito … il che però non mi sembra una scelta consapevole dell’autore. Secondo me un racconto, e non un romanzo breve, avrebbe potuto narrare la stessa vicenda con ben altra efficacia.

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E’ solo un caso, ma mi piace che il primo tentativo di recensione si occupi di un libro che parla di baseball. Sport che, secondo me, è molto difficile da capire e gustare se non si ha avuto la ventura e la fortuna di conoscerlo stando in America, o anche, presumo, in uno di quei posti dove rappresenta uno sport nazionale, come Cuba o il Giappone. La storia è semplice: ruota attorno a due giocatori, legati da un importante episodio, ed è raccontata dal figlio di uno di loro, che ne diventa protagonista, o almeno copotragonista. Lo stile è quello solito di Grisham, che tra l’altro a me piace molto. Racconto portato avanti con classe, e stile giornalistico, nel senso più alto del termine. La freddezza è anche quella che spesso sento in Grisham: nei suoi scritti la passione sembra mancare sempre, oppure tenuta accuratamente a freno. E con la passione sembra mancare il tocco della grazia, che fa di un libro molto ben scritto un libro che ti piace, che ami, che non dimenticherai. Storia breve, che si conclude con qualche pagina messa lì un po’ posticcia, per spiegare il baseball a che non ne conosce le regole, presumibilmente per un pubblico non americano. Sono pagine scritte benissimo, ma sarei pronto a scommettere (poco s’intende) che non esiste nessuno che ci possa capire qualcosa se non ne conosce già le regole. Se non si è appassionati di Grisham, per cui si legge tutto quel che scrive, non è un libro da consigliare a chi del baseball sa poco o nulla. Per chi invece ama questo sport, sarà divertente leggere tutte le statistiche e i racconti strettamente legati al gioco, che lo rendono così popolare, nel senso autentico del termine, in America.