Problemi reali, soluzioni fasulle

nov
2014
19

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1 commento

I coniugi Britt Moser, Nobel per la Medicina 2014

Un recente articolo di Gianantonio Stella sul Corriere trattava di un problema che sta toccando le Università, e sono convinto che chiunque, o quasi, lo abbia letto, non possa che aver concordato con tutto quello che lui ha scritto. Del resto, credo che l’articolo di legge cui fa riferimento sia davvero uno dei pochi che ha ricevuto consensi a destra e a sinistra. Si tratta della regolamentazione delle “parentele” all’interno dell’Università. In particolare, la (facile) ironia dell’autore dell’articolo si concentrava su fatto che alcune Università hanno interpretato la legge in senso allargato, escludendo cioè la moglie dal rapporto parentale. In altre parole, la regola che si applica, ad esempio, tra padre e figlio, non si applica invece tra moglie e marito. Tutto l’articolo voleva convogliare sdegno su tale interpretazione, facendo l’ormai abusato esempio di un dipartimento di un Università, mi pare a Bari, dove sembra che in certi piani tutti gli studi abbiano la targhetta con lo stesso cognome (ma forse non sono tutti coniugi). Ora, come dico nel titolo, è evidente che il problema si pone.  D’altra parte, questi fenomeni non succedono solo nelle Università, in un Paese in cui il familismo impera. Ad esempio, perfino forze politiche che si presentavano o si presentano come alternative non esitano poi a sistemare figli ovunque, che siano trote o consulenti informatici del movimento. Quindi il problema c’è. Ma per risolvere i problemi occorre un’analisi razionale e non emotiva. Allora, tanto per cominciare, a mettere i puntini sulle i va chiarito che è vero che il rapporto moglie-marito è sostanzialmente diverso da quello padre-figlio. In molti ambienti di lavoro ci si incontra, ci si conosce, e poi ci si sposa. Che questo debba diventare, persino retroattivamente, un macigno sulla carriera delle persone, mi sembra eccessivo. Ma il punto non è questo. Il punto è: una legge come questa risolve il problema del familismo all’Università? Certamente dà un segnale, questo lo riconosco. Ma penso che non risolva nulla, anzi che faccia danni. Il motivo è semplice. Le persone con mentalità mafiosa sul lavoro non si lasciano certo spaventare da questi provvedimenti. Per esempio, supponiamo che un Rettore di una grande Università di una grande città, che magari ha tre Università, sia dedito a sistemare moglie, figli e parentela varia nella sua Università. Credete che questo fantomatico Rettore si spaventerebbe per un provvedimento del genere? Certo che no. Le persone mafiose hanno tutta una serie di relazioni con persone della stessa risma, che magari stanno in Università contigue. Ecco quindi che uno scambio di favori risolve il problema. Al contrario, nei dipartimenti a pochissima o nulla densità mafiosa un provvedimento del genere i danni li fa, eccome. Da noi c’è chi vuol cambiare dipartimento, o chi addirittura ha deciso di divorziare (già perché poi si può diventare amanti e su questo la legge non ci può fare nulla). In altri Stati non sono certo incoraggiate queste commistioni, ma nemmeno proibite. Dove c’è convenienza, nessuno si scandalizza se in un dipartimento si trova una coppia di coniugi. Dove ero a Davis hanno assunto moglie e marito, con la certezza di fare un grande affare. Lui, persona di altissimo livello, da solo avrebbe potuto pretendere un’Università più prestigiosa. Che però non avrebbe dato un posto anche a lei. Lei a Davis non sarebbe stata considerata come singola, ma ad un’analisi attenta dava comunque garanzie di inserirsi bene in Dipartimento e di fare un più che onesto lavoro. Del resto, mica sono tutti geni quelli che lavorano all’Università…La conclusione del Dipartimento è stata che l’operazione, trasparente, avrebbe portato vantaggi a tutti.

Mi è capitato, e non una sola volta, di trovarmi in dipartimenti con coniugi, e queste situazioni qualche imbarazzo possono crearlo. Ma posso garantire che in un ambiente di lavoro corretto la cosa è tranquillamente gestibile.

In sostanza quindi, dove sta il punto? Il punto sta che, nel lavoro e forse non solo nel lavoro, pretendere di rendere le persone oneste a forza di leggi e di proibizioni abbastanza arbitrarie, non porta mai da nessuna parte. Emanare grida, si sa, non è difficile. Ma quel che occorre davvero fare, e che si fa nei Paesi seri, è di rendere non conveniente alla struttura tutta un uso personale di una sua parte. Detto in altre parole, se si premiano le strutture che lavorano bene e per il bene comune, e si affama quelle gestite come il casato di famiglia, le cose cambierebbero davvero. Non è facile, lo so. Ma sono i problemi a non essere facili, e prendere vie sbagliate è comunque sempre peggio di provare, con fatica, a fare le cose giuste.   E purtroppo questo è solo un piccolo esempio dell’approccio sbagliato che il nostro Stato si ostina a portare avanti, con sempre maggior pervicacia, in situazioni come queste.

One comment on “Problemi reali, soluzioni fasulle

  1. Simone Secchi on said:

    Condivido appieno le tue opinioni. Temo però che stia montando un sentimento dal basso, secondo cui le affermazioni del genere “i problemi sono difficili” non bastano più. La “pancia” vuole soluzioni, e ho paura che preferisca una soluzione sbagliata all’ennesimo rinvio.
    Non scopriamo niente di nuovo: quando la popolazione sopporta per decenni un certo atteggiamento della (presunta) casta, alla fine va per le spicce. Forse è troppo tardi per invocare soluzioni ragionate ai problemi difficili…

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