L’analfabeta che sapeva contare, di Jonas Jonasson

mar
2014
17

scritto da on Recensioni

2 commenti

 

Ammetto che non è stato granché facile decidere che cosa mi è piaciuto e che cosa no di questo libro … ma finalmente credo di aver capito il punto, e quindi posso scrivere la mia opinione. Però prima di parlare di questo, un accenno all’autore e alla trama del libro. Jonasson è noto al pubblico dei lettori di romanzi già dall’uscita  del suo primo libro, Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, successo strepitoso in Svezia, e non solo. Libro che ho letto, ma del quale non ricordavo nulla, e la cosa non mi stupisce, dopo aver letto il secondo. In realtà l’ho divorato, più che letto.  Il perché è semplice. Il racconto si snoda senza nessuna difficoltà di lettura, e la scrittura è spesso ironica, divertente, a volte davvero spassosa. Sorprendentemente spassosa a volte, intanto perché forse non te lo aspetti da uno svedese (basta pensare a tutta la giallistica scandinava che ci ha invaso negli ultimi anni, certo il giallo difficilmente è spassoso, ma i loro sono sempre molto cupi), e poi perché il fatto che in certi punti non ho proprio potuto trattenere una risata a voce alta, il che mostra che evidentemente avevo letto qualcosa che mi aveva divertito davvero, e che non aspettavo. Ricordo ad esempio una scena in cui il re di Svezia prova particolare simpatia per una attempata signora, per cui decidono di andare insieme a … beh a fare qualcosa di veramente sorprendente, almeno per un re…

Ed ora il solito accenno alla trama. La protagonista assoluta è una ragazzina nera di Soweto, che pulisce i gabinetti come attività principale e che, visto che siamo nel periodo dell’apartheid, non ha nessun accesso all’istruzione. Per di più senza sua colpa passa dal poco gratificante lavoro ad essere praticamente prigioniera in casa di un bianco impegnato in un mestiere difficile e pericoloso (che del resto porta avanti malissimo). Mirabolanti avventure la portano poi in Svezia, dove le succede di tutto e di più. Con un lieto fine.

Dicevo che nonostante il vero divertimento nel leggere molte delle pagine del libro, qualcosa non mi ha convinto. E’ evidente che tutto il libro racconta storie fantastiche, e che siamo abituati a leggere storie fantastiche, leggendole e appassionandoci (quando ne vale la pena), come se fossero reali. Nessuno chiede alla Commedia di Dante, o all’Alice nel Paese delle Meraviglie, di raccontare cose realistiche. Eppure qui a volte ho avuto l’impressione che il tono volesse quasi suggerire che la storia in fondo potrebbe essere credibile, magari facendo la tara a qualche racconto un po’ mirabolante. Oppure, detto in altre parole, forse l’elemento fantastico non è così dichiarato. Per questo in alcuni momenti mi è successo di essere un po’ spazientito dalle vicenda in corso di narrazione perché improbabile e senza un elemento  fantastico che in qualche modo la giustificasse.

In conclusione, non posso dire di aver letto un gran libro. Però lo consiglio caldamente a chi vuol fare una lettura che scorre veloce, divertente, molto ironica a volte. Jonasson sa davvero che cosa significa l’ironia, forse, penso io, per aver dovuto gestire fin da piccolo la totale mancanza di ironia di chi gli ha scelto il nome…

2 comments on “L’analfabeta che sapeva contare, di Jonas Jonasson

  1. Viviana on said:

    Mi sembra in linea con l’altro. Grottesco e paradossale come molti autori scandinavi non giallisti che sono sempre un po’ sopra le righe ma riescono a strappare un sorriso. A volte un tantino esasperati e inverosimili ma godibili.

  2. Alessandra on said:

    Ciao, concordo con te su tutto quello che hai scritto, strano….
    Il libro riporta un sacco di passaggi davvero divertenti: durante la lettura non riuscivo a trattenere le risate che avrebbero poi svegliato Sandro.
    Il racconto del singolo episodio non generava in lui le stesse mie reazioni, anzi, lo lasciava piuttosto perplesso….
    O mi sono un poco rimbambita con l’età, o il libro va letto sin dall’inizio, per poter essere coinvolti non tanto dalla vicenda (non un granchè), ma dal modo ironico con cui lo scrittore presenta episodi e personaggi (la gravidanza che non arriva, i gemelli…), che porta inevitabilmente alla risata.
    Buona Parigi, Ale

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